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THOMAS HARDY Paesaggio con figure seconda tappa

di Sonia Savioli




Adesso appare l'uomo istruito, educato dalle istituzioni, preda dei sogni e delle visioni, infarcito di astratti ideali, condizionato dalle regole sociali più che dalla vita naturale. In qualche modo, si direbbe, "corrotto" nel suo limpido sentire, intorbidato, che destina sé stesso e gli altri all'infelicità.

Lasciamo la ballata volta a volta epica, lirica e drammatica di Via dalla pazza folla (in cui ci sono anche pagine di comicità irresistibile e appagante) e giungiamo nella valle di Blackmoor, in direzione del villaggio di Marlott. Vi giungiamo come viandanti, come seminomadi viaggiatori perché, benché sia solo una regione il mondo dei nostri pellegrinaggi, i personaggi di Hardy sono spesso in viaggio e i loro spostamenti, al ritmo dei passi umani o di quelli di un cavallo, la rendono vasta come un universo. Sono piccole migrazioni ma, al di là di una cresta di colline, l'ambiente naturale cambia completamente e così cambia la vita degli uomini, il lavoro, l'indole, gli umori.

E' in questa valle che vive Tess, la piccola Tess, un aggettivo che già ci ispira tenerezza e un senso di protezione.

"Un viaggiatore che... raggiunga improvvisamente l'orlo di una di queste scarpate, è sorpreso e felice di contemplare, distesa come una carta geografica ai suoi piedi, una campagna del tutto diversa da quella attraversata... Qui, nella valle, il mondo sembra costruito su scala più piccola e delicata: i campi sono perlopiù dei praticelli... le siepi appaiono come un lavoro a maglia... vi alita un'atmosfera languida, tanto colorata d'azzurro... mentre l'orizzonte, sul fondo, è del più intenso blu oltremare".

Incontriamo Tess ad un ballo campestre, un rito che ha perso per gli abitanti il suo consapevole significato ma che resiste tenacemente e rimanda, con la partecipazione esclusiva di donne vestite di bianco e che tengono nelle mani un ramoscello di salice o un mazzolino di fiori, ad antiche feste pagane, ai riti della terra e delle stagioni, e già ci immerge in un ambiente in cui il tempo scorre molto piano, quasi impercettibile, con tenacia e lentezza vegetali.

"Tess Durbeyfield in quel tempo della sua vita era come un vaso colmo d'emozioni non ancora imbevute dall'esperienza... Il suo aspetto rivelava ancora tracce dell'infanzia... Nonostante la sua bellezza e prorompente femminilità, si potevano indovinare, talvolta, i dodici anni sulle sue guance, e i nove brillare nei suoi occhi e persino i cinque anni aleggiavano di tanto in tanto nelle curve della bocca".

Ecco, Tess Durbeyfield è una ragazzina, fresca e ingenua, che si affaccia or ora alla vita; come tutte le giovani donne di Thomas Hardy, è semplice e istintiva, impulsiva e amorevole. Più di qualunque altra delle sue eroine, è ingenua e altruista e così sensibile e piena di sentimento da non riuscire a sottostare alle regole, benché non faccia niente per ribellarvisi.

Ah, come inizia lievemente e leggiadramente, nella valle di Blackmoor, questa ballata che finirà così tragicamente, forse anche con un suono stridulo. Mentre ora suonano cornamuse e flauti ad accompagnare la danza, poi sarà forse una musica sinfonica o sacra a chiudere con monito pauroso e moraleggiante questa vicenda.

L'uomo appare già, durante il ballo, come una figura estranea e profetica: "... c'era un'inconsueta e indefinibile espressione negli occhi e nell'abbigliamento che suggerivano in lui la difficoltà a trovare un inserimento professionale; l'unica ipotesi che si potesse fare a suo riguardo era quella d'uno studente svogliato, e interessato a qualcosa e ad ogni cosa".

E' lui il portatore di sventura, non fatevi ingannare: l'ambiguità è già nella sua presentazione. Non sarà per il signorotto che la seduce (o la violenta? Forse è questa la parola più adatta, benché l'autore lasci solo intravedere, sommersa dall'oscurità, questa scena) che Tess diventerà una vittima: egli è solo un agente del fato, da cui ci si può riprendere, ma Angel è il fato, implacabile e cieco giudice.

Usciamo una prima volta dalla valle di Blackmoor per andare a Trantridge: più avanti, dove la strada raggiunge la cima della collina di fronte a noi, vediamo il calesse di Alec d'Urberville raggiungere la piccola Tess dai capelli vaporosi e il vestito bianco, che sta andando a servizio da sua madre, una vecchia signora cieca ed eccentrica che le assegnerà l'inconsueto compito di accudire i suoi uccelli e fischiare per loro. "Socchiudeva le labbra, avvicinava la bocca alle sbarre e fischiava con naturalezza, graziosamente, agli attenti ascoltatori".

E' un quadro sereno, quello che vediamo nella tenuta di Trantridge. Tess si occupa dei polli, dei fringuelli; Alec le ronza intorno ma senza aggressività, tenuto a distanza dalla risoluta ritrosia e, forse, proprio dall'ingenua, infantile freschezza di Tess. Ma da Trantridge Tess ritornerà a casa incinta, sconfitta e disperata, complici involontarie le litigiose e allegramente dissolute abitanti del villaggio.

Hardy non sembra proprio considerare gravi i peccati della carne.

"Poi questi figli dell'aria aperta, cui neppure un eccesso di alcool poteva nuocere a lungo, s'incamminarono per il sentiero attraverso il campo, e mentre procedevano, un'aureola di luce opalescente, formata dai raggi della luna sul luminoso lenzuolo di rugiada, circondava l'ombra di ciascuna testa, accompagnandoli. Ogni viandante non vedeva altra aureola che la propria, che mai abbandonava l'ombra della testa, per quanto instabile fosse l'incedere... Finché questi movimenti irregolari sembrarono far parte di quello splendore, e i vapori dei loro respiri una componente della nebbiolina notturna; e lo spirito della scena, del chiarore lunare, e della Natura, parvero mescolarsi armoniosamente con lo spirito del vino".

Così li dipinge e ancora una volta musiche ancestrali (il flauto di Pan?) si mischiano al suono di bande paesane, e si mischiano le epoche e i tempi, che limpidi s'intrecciano come i ruscelletti che irrigano i campi, si fermano tra le canne, riempiono lentamente pozze e fontane, con ampie volute si intrecciano. Scorrono non per andarsene e trascinare via, come i torbidi fiumi delle città, ma per dare linfa e fertilità alla terra.

In un'alba di ottobre vediamo Tess salire verso il crinale che segna il confine della sua valle nativa, nello splendore silenzioso del sole nascente, e non è più la fanciulla svelta, infantile, acerba, ma una donna mortificata e spenta, appesantita dalla disperazione. Ce ne accorgiamo dai suoi movimenti, dalla rigidità senza slancio delle membra, e ci torna alla mente la fanciulla palpitante come una bandiera, che si avviava verso Trantridge pochi mesi prima.

Veramente non riusciamo a credere che l'autore giudichi così tremenda e irrimediabile la colpa di Tess ma ancora più terribile la considerava la società della sua epoca, quell'Inghilterra vittoriana che giudicava disdicevole persino che una madre e un bambino si baciassero in pubblico. Hardy, che ha già sfidato, suscitando scandalo e riprovazione, quella morale crudele e bigotta con il romanzo stesso (non per niente intitolato, a sfida ulteriore, "Tess dei d'Urberville, una donna pura"), non può certo sottrarvisi del tutto. Ma vi si sottrae il mondo rurale che descrive: le convenzioni, qui, sono una cosa vaga.

"Be', tutto sommato, è stata una vera disgrazia che tra tutte sia capitato a lei, ma è il destino di quasi tutte le ragazze carine. I tipi comuni sono sicuri come fortezze, non è vero, Jenny?" Ecco il commento che sintetizza gli umori del popolo di Blackmoor.

"Le pene maggiori erano dovute all'osservanza delle convenzioni e non a sentimenti naturali" e "Se fosse stato per il giudizio della società, quelle esperienze avrebbero potuto costituire semplicemente un'educazione liberale", ecco il pensiero dell'autore, esageratamente audace per l'Inghilterra dell'epoca.

Ma non importa: i moralismi e le convenzioni dell'epoca, riportati nel romanzo, fungono da leva per la tragedia, fanno le veci degli dei e del fato. Benché, pensandoci un attimo, questa non sia una novità: fato e regole sociali si intrecciano fin dalle più antiche saghe e poemi, dall'Iliade a re Artù. Gli uomini si costruiscono le proprie tragedie il più delle volte, e una delle più grandi è l'asservimento delle donne.

Torniamo all'aria pura del Wessex, mossa dal vento che percorre in lungo e in largo le colline. Vediamo di nuovo partire la nostra eroina, una ragazza ora, che ha perso l'infantile spontaneità che la rendeva leggera anche nel rigore. Si volta a guardare con rimpianto la casa paterna, immaginando i fratelli piccoli che l'avrebbero dimenticata.

E' una famiglia piuttosto spensierata, quella di Tess. "Questa uscita, alla caccia dell'inetto marito all'osteria, era ancora uno dei principali svaghi della Durbeyfield, in mezzo al sudiciume e alla confusione dei bambini da tirar grandi. Il trovarlo da Rolliver, lo starsene seduta per un'ora o due accanto a lui e dimenticare qualsiasi pensiero e preoccupazione per i figli durante quel breve tempo, bastava a renderla felice".

Non per niente Hardy ci ha già detto che quando Tess e sua madre si trovano assieme l'epoca giacobina e la vittoriana si sovrappongono.

Tess, in questa mattina di maggio, non è così vittoriana. Propende alla serenità e alla speranza e si avvia verso una vita migliore, e la valle del Froom si accompagna al rinascere del suo entusiasmo. L'aria è più limpida, il paesaggio più ampio e ridente, tutto è più vasto. I prati verdi picchiettati da miriadi di piccole macchie bianche e fulve: le vacche della valle delle Grandi Fattorie del Latte. La solitudine, l'attesa di una vita nuova tra gente nuova, la luminosità tersa dell'aria danno a Tess lo slancio naturale dei suoi vent'anni.

Tess va a fare la mungitrice in una di queste grandi fattorie, in numerosa compagnia. Più ampia, di più vasto respiro è la vita che qui conduce, scandita dal lavoro collettivo e dai suoi ritmi, che sono un compromesso tra quelli degli uomini e quelli delle mucche. E' l'ambiente più sereno e più vivace del romanzo e della sua vita. Nella fattoria di Talbothays il coro riprende il sopravvento sulle voci soliste; il lavoro collettivo produce solidarietà, ironia, comprensione. Le pene si diluiscono, gli scopi mutano. E poi ci sono le mucche, che non sono macchine, con loro ci vuole abilità e attenzione, ci vuole simpatia.

"Le mucche da mungere erano sistemate in fila tra i pali e vedendole da dietro, in quel momento, potevano suggerire ad un osservatore fantasioso l'immagine di un cerchio posato su due steli nel centro del quale la coda oscillava come un pendolo, intanto il sole, calando dietro quella fila paziente, ne stampava nitidamente le ombre contro il muro alle spalle. In questo modo ogni sera disegnava le ombre di quelle oscure figure domestiche, con un'accuratezza, nel seguirne i contorni, quasi si fosse trattato del profilo di una bellezza regale sulla parete di un palazzo".

Vi è in questa descrizione la poesia, l'ammirazione fervida e sincera, lirica e appassionata, che altri autori hanno avuto per mirabili opere d'arte o giovani donne dalla bellezza sublime. E senza retorica o smancerie.

A Talbothays Hardy disegna l'ambiente rurale del suo Wessex che più ama.

"Il fattore Crick e tutta la sua gente, uomini e donne, vivevano comodamente in tranquillità e persino in allegria. Nella scala sociale la loro posizione era forse la più fortunata di tutte, stando al di sopra di quella linea dove finisce l'indigenza e al di sotto di quella dove le convenienze soffocano gli slanci naturali, e la fatica per comportarsi con logoro conformismo crea un senso di perenne insoddisfazione".

A Talbothays anche Angel Clare, l'ignaro angelo castigatore giunto da un altro mondo, dimentica le proprie ubbie esistenziali, le tormentose incertezze, gli astratti ideali, poco alla volta ritorna alla semplice, istintiva allegria della gioventù, alle semplici aspirazioni all'amore e alla felicità, in una comunione coi suoi simili e con la natura che fin qui gli era stata preclusa.

E' l'atmosfera del luogo che cancella la colpa e l'affanno e conduce i due giovani al matrimonio. Poi "La donna paga", ci dice Hardy, e con questo titolo apre il capitolo delle confessioni. Sì, le confessioni sono due e si equivalgono. Così pensa Tess, l'ingenua, dolce, appassionata Tess: è con sollievo che perdona, pensando di essere a sua volta perdonata. Ma la donna paga, e solo la donna paga. E l'intellettuale Angel, che aveva tanto idealizzato la giovane contadina, non riesce a vederne i reali pregi, l'animo puro e amoroso.

Da qui in poi la luminosa ballata diviene oscura e tragica, cambiano i paesaggi, più aspri ma tuttavia dotati ancora di aspra bellezza, e, come attraverso Angel è stata introdotta nel romanzo l'innaturale e perversa morale cittadina, così attraverso la trebbiatrice meccanica viene introdotto l'innaturale e perverso lavoro industriale. E' un tiranno che obbliga a ritmi inumani, torturanti come una condanna, senza soste nè cedimenti. Non ci si può fermare, non si può parlare né volgere il capo, niente sorsi d'acqua o di birra, niente canzoni, niente racconti o motti di spirito.

Il demone del progresso distrugge il lavoro contadino, l'ambiente rurale e naturale, l'allegria spontanea e la spontanea amorevolezza dell'animo umano.

Forse per questo, per tornare ai primordi profondi e magnifici della vita e dello spirito, che Hardy porta noi e Tess a Stonehenge, nel tempio della terra e del sole, dei venti e delle stelle.

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