top of page

"Guerra e pace" - La Russia di Tolstoi




Se ci si vuole avvicinare alla conoscenza di un popolo, di un paese, non c'è niente di meglio che leggere le opere letterarie che i suoi scrittori e poeti hanno prodotto. Quando qualcuno si vanta di conoscere un popolo per aver vissuto qualche mese o qualche anno nel paese a cui quel popolo appartiene, viene da sorridere. Viene da sorridere di compassione quando qualcuno che ha fatto un viaggio come turista, parla del paese in cui non ha vissuto ma che ha solo "girato", tranciando giudizi e facendo affermazioni decise su questa o quest'altra caratteristica del popolo che lo abita.

Spesso nemmeno l'esperienza di tutta una vita ci permette di capire il popolo e il paese di cui facciamo parte, anche perché paesi e popoli non sono monoliti ma mosaici, in cui si fondono, e non sempre armoniosamente, culture e storie diverse.

Ma l'arte ha quel tocco "superiore", quella comprensione del cuore e della mente che le permette a volte di sintetizzare ed esaltare ciò che di più importante, di più profondo, di essenziale c'è nella vita. Di cogliere ed esprimere ciò che sembrerebbe inesprimibile. Anche il carattere di un popolo.

Se volete conoscere la Russia, leggete Cechov e Tolstoi, Esenin e Pushkin, Turgenev e Goncarov.

"Guerra e pace" è il capolavoro di Tolstoi, il libro in cui i destini individuali e quelli collettivi sono disegnati in tutti i loro più minuti particolari. Un libro di personaggi vivi, complessi, descritti in tutte le loro particolarità e stati d'animo, sogni, desideri, difetti e pregi, e sempre con partecipazione e compassione: con amore. Così come è descritta la società, le convenienze inutili, le ipocrisie e gli interessi che si intrecciano, i meccanismi del potere e le sue inutili futilità, le vere cause degli avvenimenti storici. Leggere "Guerra e pace", o rileggerlo, permette di comprendere, arricchirsi e, vantaggio non da poco, divertirsi, immaginare, commuoversi, riflettere.


La battaglia di Borodino, con la successiva occupazione di Mosca e la fuga dei francesi, senza nuove battaglie, è uno dei più istruttivi fenomeni della storia.

Tutti gli storici concordano sul fatto che l'attività esterna degli Stati e dei popoli, nei loro scontri reciproci, si manifesta con le guerre; che la forza politica degli Stati e dei popoli dipende direttamente dai maggiori o minori successi militari riportati.

Per quanto strane siano le descrizioni storiche su come un certo re o imperatore, essendo venuto a contrasto con un altro imperatore o re, raduna il proprio esercito, si batte con l'esercito nemico, ottiene la vittoria, uccide tre, cinque, diecimila uomini e, in conseguenza di ciò, assoggetta uno Stato e un intero popolo di milioni di uomini; per quanto sia incomprensibile perché la sconfitta del solo esercito – la centesima parte di tutte le forze di un popolo – costringa un intero popolo alla sottomissione, tutti i fatti della storia (o almeno quelli che ci sono noti) confermano la giustezza della tesi secondo la quale i maggiori o minori successi dell'esercito di un popolo contro l'esercito di un altro popolo sono le cause o almeno gli indizi essenziali dell'aumento o della diminuzione della forza dei popoli. Se un esercito riporta una vittoria, subito aumentano i diritti del popolo vincitore a danno di quello vinto; se subisce una sconfitta, subito, a seconda dell'entità della sconfitta, quel popolo viene privato di alcuni dei suoi diritti, e viene completamente assoggettato se il suo esercito ha subito una disfatta totale.

E' stato sempre così – la storia ce lo dimostra – dai tempi più remoti fino ai giorni nostri. Tutte le guerre di Napoleone non fanno che confermare questa regola. Nella misura in cui le truppe austriache subiscono sconfitte, l'Austria viene privata dei suoi diritti e aumentano i diritti e le forze della Francia. La vittoria dei francesi a Jena e ad Auerstadt distrugge l'esistenza indipendente della Prussia.

Ma improvvisamente, nel 1812, i francesi riportano una vittoria presso Mosca; Mosca è occupata e in seguito a questo, senza che vi siano nuove battaglie, non è la Russia che cessa di esistere, ma cessa di esistere un esercito di seicentomila uomini, e poi la Francia napoleonica. Deformare i fatti per adattarli alle regole della storia, dire che il campo di battaglia di Borodino rimase ai russi, che dopo Mosca vi sono state battaglie in cui l'esercito di Napoleone venne annientato, è impossibile.

Dopo la vittoria dei francesi a Borodino, non vi fu né uno scontro generale, né una battaglia di qualche rilievo. Tuttavia l'esercito francese cessò di esistere. Che cosa significa un fatto del genere?...

... Il periodo della campagna del 1812 che va dalla battaglia di Borodino fino alla cacciata dei francesi ha dimostrato che una battaglia vinta non solo non è causa di conquista, ma non è neppure indizio certo di conquista: ha dimostrato che la forza che decide la sorte dei popoli non è insita nei conquistatori, e neppure negli eserciti e nelle battaglie, ma in qualcosa d'altro.

Gli storici francesi, esaminando la situazione dell'esercito francese prima dell'abbandono di Mosca, affermano che tutto era in ordine nella Grande Armata, eccetto la cavalleria, l'artiglieria e i carriaggi; mancava inoltre il foraggio per nutrire i cavalli e il bestiame bovino. Nulla poteva ovviare a questo inconveniente, poiché i contadini dei dintorni bruciavano il loro fieno e non lo davano ai francesi.

La battaglia vinta non portò i risultati consueti, perché i contadini Karp e Vlas, che dopo la partenza dei francesi si precipitarono a Mosca con i loro carri per saccheggiare la città e in generale non palesarono certo sentimenti eroici, e tutta una sconfinata moltitudine di contadini come loro, non portarono il loro fieno a Mosca nonostante i buoni prezzi loro offerti, ma gli diedero fuoco.

Immaginiamoci due uomini che si affrontano a duello con la spada, secondo le regole dell'arte della scherma... quando ad un tratto uno dei contendenti, sentendosi ferito e comprendendo che non si tratta di uno scherzo ma che è in gioco la sua vita, getta la spada e, afferrato il primo randello che gli capita sottomano, comincia a mulinarlo...

Lo schermitore che pretendeva una lotta secondo le regole dell'arte rappresenta i francesi; il suo avversario, che getta la spada e impugna il randello, sono i russi; gli uomini che si sforzano di spiegare tutto secondo le regole della scherma sono gli storici che hanno scritto di questi avvenimenti.

Dal momento dell'incendio di Smolensk ebbe inizio una guerra che non rientra in nessuna tradizione precedente. L'incendio delle città e dei villaggi, la ritirata dopo le battaglie, il colpo di Borodino e di nuovo la ritirata, l'incendio di Mosca, la caccia ai saccheggiatori, l'intercettazione dei convogli, la guerra partigiana sono altrettante trasgressioni delle regole.

Napoleone lo capì e non appena si fermò a Mosca in regolare posizione di schermitore e invece della spada dell'avversario vide il randello levarsi sopra di lui, non cessò di protestare presso Kutuzov e l'imperatore Alessandro per il fatto che la guerra veniva condotta contrariamente a tutte le regole (come se esistessero determinate regole per ammazzare gli uomini). Nonostante le proteste dei francesi, nonostante che i russi di condizione più elevata giudicassero, chissà perché, vergognoso battersi con un randello... il randello della guerra popolare si sollevò con tutta la sua forza terribile e maestosa e, senza curarsi di gusti o di regole di sorta, con ottusa semplicità, ma con perfetta rispondenza allo scopo, senza distinguere chicchessia, si alzò, si abbassò, e martellò i francesi finché non fu annientata tutta l'invasione...

... fortunato quel popolo che nel momento della prova, senza perdersi a chiedere in che modo, secondo tutte le regole, abbiano agito gli altri in casi del genere, con semplicità e immediatezza raccoglie il primo randello a portata di mano e martella fino a che, in fondo all'anima, il sentimento dell'offesa e della vendetta non cede il posto al disprezzo e alla pietà.


Comments


bottom of page