Con il pretesto della pandemia gli stati, e lo stato italiano in prima linea, stanno elargendo e stanziando centinaia di miliardi per quello che chiamano “recupero” dell’economia. Ma quale economia? L’obiettivo, chiaramente visibile, è quello di trasferire le ricchezze degli Stati nelle saccocce delle multinazionali, accentrando più che mai potere economico e potere politico (ormai ci governano gli “esperti” delle multinazionali).
In questo contesto, quella che i globalcapitalisti e i politici al loro servizio chiamano “rivoluzione verde e transizione ecologica” non è altro, come al solito, che una mano di vernice verde sull’orrido volto della distruzione ambientale. Basta dare un’occhiata al Recovery Plan, ovvero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del governo italiano per rendersene conto. Questa cosiddetta “rivoluzione verde e transizione ecologica” è un inganno, che ha lo scopo di mascherare la completa privatizzazione delle fonti energetiche, realizzata però con i soldi pubblici.
In realtà i progetti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) descrivono l’ennesima distruzione dell’ambiente attraverso grandi opere infrastrutturali, l’ennesimo abnorme consumo di energia con conseguente produzione di gas serra.
Il fatto che si dia a tutto ciò il nome di “rivoluzione verde e transizione ecologica” è un’ulteriore dimostrazione di come la menzogna più spudorata sia ormai l’arma principale del globalcapitalismo, e dei governi che ne fanno gli interessi.
Ciò che si vuole creare, con lo stanziamento di centinaia di miliardi degli Stati, sono muovi mercati per le multinazionali, come quello dei veicolo elettrici; mercati però sovvenzionati come non mai dai soldi pubblici, e sostenuti da investimenti e leggi statali. Già lo vediamo nell’imperversare nelle grandi città di monopattini elettrici, oggetti inutili ed energivori, pesantemente inquinanti sia nella produzione che nel consumo e nello smaltimento, il cui utilizzo serve solo a diminuire l’umana capacità di camminare con le proprie gambe, o magari con le proprie gambe spingere un monopattino. “A causa delle loro breve durata di vita, tra produzione e ricariche, alla fine causano più emissioni di gas serra dei veicoli tradizionali”, questo dice dei monopattini elettrici uno studio della Libera Università di Bruxelles. Le amministrazioni comunali hanno messo a disposizione il territorio per le multinazionali dell’affitto di veicoli elettrici, a cominciare dai monopattini. Si tratta di aziende che potremmo chiamare parassite: non producono niente, non hanno dipendenti, si limitano a mettere a disposizione quanto fabbricato da altri. E’ questo il capitalismo del futuro.
I veicoli elettrici non sono meno inquinanti di quelli a benzina o a gas, poiché l’elettricità che serve ad alimentarli sarà prodotta, e lo è anche ora, da petrolio e da gas. Si sposta solo l’inquinamento dalle città ai luoghi di produzione dell’elettricità.
Ma c’è di più: non viene calcolato il consumo di materie prime e di energia utilizzata per costruire tali veicoli in quantità che si prevedono enormi; si tratterà di un’altra insostenibile fonte di inquinamento, produzione di gas serra e produzione di rifiuti.
Si parla, nel PNRR, di auto e camion funzionanti ad idrogeno, di impianti di produzione e di stazioni di rifornimento di idrogeno. Ebbene, per ottenere un chilo di idrogeno sono necessari dai 50 ai 60 kwh di energia elettrica e 8 litri di acqua! Una riconversione ecologica e sostenibile? Con quel chilo di idrogeno è calcolato che un camion faccia 10 chilometri. Ecologico davvero!
Anche se tutta l’energia per veicoli elettrici e per produrre idrogeno fosse prodotta da campi di pannelli fotovoltaici e di pale eoliche (cosa impossibile con gli attuali consumi, figuriamoci con i consumi di energia che i veicoli elettrici e la produzione di idrogeno farebbero aumentare a dismisura), non ci sono le fatine con la bacchetta magica che possano far scaturire pannelli fotovoltaici e pale eoliche dal nulla. Mediamente, ci vuole un anno e mezzo di utilizzo di un pannello fotovoltaico per recuperare l’energia usata per costruirlo. Per produrre 1 Gwh di energia occorrono mediamente 16.000 metri quadri di pannelli fotovoltaici. Per farli si usano sostanze nocive come l’ossicloruro di fosforo, il tetracloruro di carbonio. Silicio, vetro e alluminio, le materie principali dei pannelli fotovoltaici. Ma c’è anche il piombo, il rame, il gallio, il selenio… Come si può pensare di realizzare una transizione ecologica semplicemente sostituendo le fonti energetiche? La produzione di pannelli solari è paragonabile a quella di qualsiasi industria chimica per inquinamento, utilizzo di materie prime, rifiuti tossici. La finta transizione ecologica non si sogna nemmeno di modificare il modo di produrre e consumare, che è l’unica vera transizione ecologica possibile.
Cambiare tutto per non cambiare nulla, diceva il protagonista del romanzo “Il gattopardo”, e questo è l’obiettivo del progetto di grande ristrutturazione capitalista (The Great Reset) studiato dal Forum Economico Mondiale e messo in atto dai governi complici e dall’Unione Europea.
Ferrovie ad alta velocità, grandi opere strutturali, dighe, enormi impianti di pale eoliche più alte di grattacieli sui crinali montuosi e persino dentro il mare, parchi di pannelli fotovoltaici anch’essi fin dentro il mare, sostituzione dei veicoli attuali con veicoli elettrici e possibilmente senza conducente: la grande orgia dei profitti delle multinazionali di ogni tipo, da quelle del cemento a quelle minerarie, da quelle che s’impadroniranno dell’energia a quelle dell’automobile e delle batterie elettriche, il tutto a spese degli Stati, cioè del denaro pubblico. Spese pubbliche e profitti privati. E, infine, il sistema 5G, con la produzione di milioni di antenne grandi e piccole e di miliardi di strumenti cibernetico-elettronici di ogni tipo, dai cellulari ai frigoriferi, dagli impianti di riscaldamento agli aspirapolvere, dai semafori all’illuminazione pubblica, dalle lavatrici alle serrature, dispositivi elettronici di ogni tipo e dimensione disseminati in ogni oggetto e in ogni ambiente.
Si parla, nel PNRR, di utilizzare i rifiuti come risorsa. Non si parla assolutamente di ridurre rifiuti, imballaggi, prodotti non biodegradabili: nessun progetto di riduzione dei rifiuti, nessuna legge o regolamento che disincentivi la produzione di rifiuti, l’imperversare di inutili imballaggi, gli sprechi. I rifiuti, dice il Piano, sono una risorsa, cioè denaro. La deduzione logica è, allora, che più ce n’è meglio è. Si prevedono molti nuovi impianti di riciclaggio e, naturalmente, nuovi inceneritori di rifiuti, che produrranno energia: guardate come sono ecologici!
Il tutto, compresa l’agricoltura, sempre più digitalizzato, burocratizzato, super controllato.
Ah, dimenticavamo! Incentivare la pesca industriale e l’allevamento intensivo dei pesci fa parte della transizione ecologica denoantri (come la chiamerebbero lorsignori del Forum Economico Mondiale).
La dissipazione finale dell’ambiente e del pianeta con l’unico scopo di ridare fiato a un sistema economico e sociale in decomposizione, viene chiamata “rivoluzione verde e transizione ecologica”. Ironicamente? Forse qualcuno ride, dietro le quinte dello spettacolo.
Coloro che decidono le politiche e le scelte economiche ormai, con il pretesto della “pandemia”, sono i cosiddetti esperti delle multinazionali. Dalla primavera del 2020 siamo governati direttamente dai loro funzionari e tecnici. La falsa transizione ecologica non è altro che il tentativo di rilanciare mercati asfittici, aumentare gli sprechi e i consumi, compreso il consumo di energia, il tutto nutrito dai soldi degli Stati che, da beni comuni, devono diventare il forziere da cui le grandi compagnie private attingeranno senza limite.
L’unico limite sarà dato dai disastri ambientali e climatici, che ormai si susseguono a ritmi incalzanti, minacciando persino le risorse alimentari dell’umanità.
A meno che un limite non lo mettiamo noi popoli, ribellandoci e mobilitandoci contro questi progetti; pensando e proponendo una vera rivoluzione verde e transizione ecologica, che può realizzarsi soltanto con la partecipazione collettiva e che non può che determinare, assieme a un cambiamento della società e dell’economia in tutti i suoi aspetti, la fine delle multinazionali e del loro potere.