Mordere l’aria mordere i sassi
la nostra carne non è più d’uomini
mordere l’aria mordere i sassi
il nostro cuore non è più d’uomini.
Ma noi s’è letta negli occhi dei morti
ma l’hanno stretta i pugni dei morti
con il piede straniero sopra il cuore
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
gli occhi che furono chiusi alla luce
“Dopo un raccolto ne viene un altro”
lo disse perché erano contadini
gente ignorante, che non capiva
Il progresso per loro era aver tutti da mangiare
la civiltà essere tutti uguali
i confini erano quelli segnati
Sette fratelli Cervi, il poeta vi ha chiamato
sette stelle dell’Orsa, per guidare il cammino
nuova costellazione in un cielo mai offuscato
ma chi ha dimenticato cammina a capo chino.
Un cuore può spezzarsi, si spezza anche la roccia
così morì la madre, per il troppo dolore
ma lui rimase, il padre, visse per ricordarli
per ricordare a tutti che non c’era altro da fare.
Sette fratelli Cervi, sembra una leggenda
nata dalla nebbia di una grande pianura
sembra un’antica fiaba, splendida e tremenda
raccontata per crescere e vincere la paura.
Dopo un raccolto ne viene un altro
lo disse perché erano contadini
gente che non si stancava di seminare e crescere
di guardare le stelle e allevare bambini
di insegnare ai figli che l’uomo soltanto
è il vero padrone del proprio destino
che senza i servi non ci sono i padroni
che non si deve camminare a capo chino.
Sette fratelli Cervi, una manciata d’uomini
lanciati come semi nel solco della storia
dopo un raccolto ne viene un altro
vi cresceremo nella nostra memoria.
Di anni 34, falegname, nato a Cormons (Gorizia), militante del Partito Comunista Italiano, arrestato nel 1937, processato dal tribunale speciale, condannato a 4 anni di reclusione. Dopo l’8 settembre 1943 comandante di compagnia del battaglione “Mazzini”. Catturato dalle SS tedesche il 1 gennaio 1941, più volte torturato, fucilato il 7 marzo 1944.
Pina cara, figli miei, madre e tutti i miei cari,
quando riceverete questa mia io sarò già morto.
Il mio dolore è immenso, non per me stesso, ma per voi tutti. Vi ho tanto amati, in mezzo a voi ho trovato grande felicità, sono contento e felice di avervi amati ed essere stato amato.
Ti ricordi, Pina mia, quante belle speranze accarezzavamo, come costruivamo il nostro avvenire…
E tu Giuliana mia piccola, come sei? Io l’immagino il tuo lieto visino sorridente. Aspettavo la tua nascita con gioia grandissima… non ho potuto darti nemmeno un bacino sulla tua fresca guancetta. Ora io ti saluto e ti bacio caramente.
E tu, Lucianuti mio, ricorda sempre il tuo caro Tate, che ti ha voluto sempre tanto bene. Addio Lucianuti. Addio madre mia, sorelle, nipotini, addio… Datevi coraggio, non dimenticatemi. Perdonatemi!
Auguro a tutti voi una lunga e felice vita… Vi lascio in eredità il mio affetto amoroso…
Membro della “Giovane Guardia”, compie azioni di sabotaggio contro gli occupanti tedeschi. Arrestata, con tutto il suo gruppo, tra fine dicembre ’42 e inizio gennaio ’43. Sottoposta a sevizie e torture fino al 7 febbraio 1943, quando viene uccisa con un colpo sparato in fronte.
Addio, mamma, tua figlia Liubka se ne va nell’umida terra.
(da “Lettere di condannati a morte della Resistenza europea”)
La chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai figli uccisi, l’ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage,
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l’orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
“liberate l’Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera”;
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
E fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi