Da “La mano del contadino”

di Sonia Savioli

La quasi millenaria resistenza dell’antica società contadina, comunitaria, egualitaria e animista anche quando cristiana, non viene studiata e divulgata, non viene celebrata né onorata come meriterebbe, forse perché, nella società mercantile e poi industriale che l’ha distrutta, noi siamo oggi sia i conquistatori che i conquistati.

La raccolta di poesie “La mano del contadino” intende, con i mezzi modesti della letteratura, divulgare e onorare alcuni episodi di quella resistenza.

La caccia alle streghe fu uno degli strumenti adottati dalla borghesia ormai imperante e latifondista, con l’attiva complicità di una Chiesa-strumento del potere, per soffocare, terrorizzare, reprimere le comunità contadine, sradicare ciò che restava dell’Antica Religione.

Siena, 1584, processo ad Angelica di Gherardo, guaritrice.


Alle mie spalle stava un popolo muto

e diventava un popolo d’ombre,

scivolava nelle valli dense

dove l’acqua sussurra e affonda,

s’intricava in abbracci così stretti

che il vento e il sole, per varcarli,

si dovevano affilare:

erano foglie, erano piume,

erano scaglie, erano semi

e di loro trapelava

solo un profumo, una canzone.

Io ero Angelica, la strega

che curava i bambini.

Mi spogliarono e rasarono

come un pulcino implume,

una conchiglia scardinata

che viene esposta al sole.

Dietro di me stava un popolo

che non poteva capire,

che palpitava e sbocciava

e si cullava nel vento,

che solo vivere sapeva,

rugiada e miele distillava:

erano petali e polline,

erano elitre e antenne,

erano corna, erano zanne

e sulla terra leggeri.

Io ero Angelica, la strega

che i bambini sanava.

Mi bruciarono e soffocarono,

mi storsero e mi spaccarono

come si spacca la terra

quando è nuda sotto il sole,

come la terra mi calpestarono.

Mi chiesero del diavolo,

di accoppiamenti mostruosi:

avevo mischiato bardana e cavolo,

salvia e sambuco.

Mi chiesero del diavolo,

io per la prima volta lo vedevo:

aveva ricche vesti,

leggeva i sacri testi,

veniva dai palazzi

e dalle mura,

non aveva pietà,

si nutriva di paura.

Con tenaglie roventi

cercava di stanare la mia anima:

strinsi i denti,

dissero che ridevo.

Dietro di me, il mio popolo

strideva alto nel cielo,

strisciava negli anfratti:

il patto si era rotto.