Boschi al macello: è saccheggio totale

di Martino Danielli

fonte: il Cambiamento

Mentre il pianeta collassa per i cambiamenti climatici e una parte dell’umanità si mobilita per cercare di fermare, o se non altro rallentare, questo fenomeno umano, appare al contrario come lo sfruttamento economico sulle risorse naturali non conosca freni né frontiere. A farne le spese sono proprio i nostri salvatori, gli organismi che per eccellenza offrono una delle soluzioni più rapide ed indolori ai cambiamenti climatici: gli alberi.

Il mondo vegetale sta vivendo una fase di saccheggio totale, le foreste sono bruciate dall’America Latina all’Africa per creare coltivazioni intensive di proprietà delle multinazionali, i cui prodotti sono poi consumati senza alcun ritegno o rimorso proprio da noi consumatori. In Russia e Canada grandi distese di foreste sono trasformate in carta e legna da ardere, le miniere radono al suolo colline e pianure. Lo sviluppo urbanistico sostituisce alle foreste dell’Asia palazzi, strade, parcheggi e centri commerciali ma anche in Europa si aprono sempre più vasti fronti di disboscamento, dalla Polonia ai Balcani, dalla Germania alla Francia migliaia di tronchi crollano sotto i colpi mortali di motoseghe ed escavatori.

Le foreste sono tra i principali serbatoi di carbonio del pianeta. Esse immagazzinano circa 289 gigatonnellate (Gt) di carbonio negli alberi e nella vegetazione. Il carbonio immagazzinato nella biomassa forestale, nel legno secco, nello strame messi insieme è maggiore di tutto il carbonio nell’atmosfera. A livello globale, lo stock di carbonio nella biomassa forestale si stima che tra il 2000 ed il 2010 sia diminuito di circa 0.5 GT all’anno, principalmente a causa della riduzione del totale della superficie forestale (fonte FAO).

In Italia viene sbandierato l’aumento della superficie boscata, con dichiarazioni di politici e amministratori che si dicono pronti a voler recuperare la superficie un tempo coltivata strizzando l’occhio alle agroindustrie e agli speculatore del legname, mentre dispensano sorrisi forzati e abbracci falsi per i movimenti ambientalisti che ora iniziano a far sentire la loro voce.

Il fatto è che in gran parte del nostro territorio nazionale i boschi e le foreste sono visti e utilizzati quasi esclusivamente come risorsa economica. Se è vero che la superficie boscata è aumentata nel corso degli anni, è altrettanto vero che la qualità di tali ambienti lascia a desiderare. Ovunque, su Prealpi ed Appennini si praticano tagli cedui utilizzando macchinari enormi. Proprio recentemente è apparsa la reclame di una di queste mostruosità distruggi-vita che non lasciano in piedi un arbusto, alterano il suolo in modo devastante (occorrono parecchi decenni per rigenerare un suolo compromesso dal passaggio di alcuni di questi mega trattori), riempiono l’aria di gas serra e procedono con velocità sempre maggiori nello sterminio della vegetazione. Il taglio ceduo poi lascia dietro di sé pochi e stenti alberi; leggi permissive e scarso controllo contribuiscono a produrre il resto del danno.

Fianchi interi di colline nel Chianti e nel Mugello, dalle Langhe alla Liguria sono compromessi, nessun castagno, quercia, carpino è al sicuro. Mentre la Regione Toscana dichiara l’emergenza climatica, fiumi rigogliosi di vegetazione riparia sono trasformati in deserti, leccete secolari e perfino territori demaniali protetti sono trasformati in biomasse che alimentano le tanto sovvenzionate centrali, le quali per funzionare divorano migliaia di metri cubi di legna in tutta la regione, oltre ad inquinare non poco. In Italia i boschi che vengono sottoposti a tagli cedui sono il 43% del totale ma, se guardiamo esclusivamente ai boschi di latifoglie, ovvero tutti i boschi tranne quelli di conifere, il taglio ceduo è operato sul 70% della superficie.

Si tratta di un dato apocalittico, basti pensare che dagli studi emerge come il 45% delle erosioni nel nostro paese è dovuto al taglio del bosco. Tutto ciò si traduce in due semplici parole: dissesto idrogeologico. Ovvero la possibilità concreta di alluvioni, smottamenti e frane.

È curioso constatare che gli stessi tecnici e politici che spingono verso un maggiore sfruttamento boschivo, sono quelli che chiedono più soldi per opere di contrasto al dissesto idrogeologico e che spingono alla cementificazione e all’artificializzazione dei corsi d’acqua e dei versanti.

Gli alberi che comunicano tra loro usando i funghi come ponte, gli alberi che sorreggono il suolo del nostre montagne e le sponde dei nostri fiumi, gli alberi che abbassano anche di 6°C la temperatura delle città durante l’estate, gli alberi che danno rifugio a centinaia di specie diverse, dagli insetti agli uccelli passando per rettili e mammiferi, gli alberi antichi che hanno vissuto dal tempo dei crociati, potrebbero non sopravvivere ai crociati moderni, i predoni delle agromafie, delle multinazionali (che poi sono la stessa cosa). Le foreste potrebbero sparire a causa di scaltri o incompetenti politici per finire in qualche centrale elettrica a biomasse, nel pellet e nella legna delle pizzerie.

Per fermare tutto questo ognuno di noi ha voce in capitolo; piantare nuovi alberi è una azione straordinaria di amore verso la natura e di rispetto per le generazioni future ma non basta. Infatti è necessario prima di tutto ed immediatamente fermare il disboscamento e la deforestazione. Se non agiremo in tal senso sarà come curare un raffreddore camminando in costume da bagno nella neve, ma convinti che una tisana calda sistemerà il malanno. Gli alberi sono vittime nel nostro presente, gli alberi e le foreste dovranno essere i protagonisti del nostro futuro.