Il Natale, nelle antiche religioni europee, quelle legate alla natura e ai suoi cicli, è sempre stato una festa sacra. Il solstizio invernale rappresentava morte e rinascita, la fine e l’inizio dell’anno solare, l’addormentarsi della terra nel gelo invernale e il germogliare dei semi nel suo grembo, il passaggio tra la diminuzione graduale e l’aumento graduale della luce. Un momento cruciale, festeggiato con tutti i simboli della vita che la stagione offriva e con il colore simbolo della vita: il rosso vivo del sangue. Agrifoglio, pungitopo, abete, luce: di candele, di focolare, di falò. Le piante, i semi, la luce rappresentavano la vita, la fecondità, la rinascita. E non era un caso che i bambini fossero i principali protagonisti di queste feste: in tutti i riti di morte-rinascita i bambini lo erano, ricordavano il passaggio, erano gli araldi della nuova vita.
Fino alla società dei consumi.
Ricordo bene i Natali della mia infanzia: pochi modesti regali dai genitori e dagli zii più vicini, una bambola, un libro illustrato; i doni erano solo per i bambini, la loro gioia coinvolgeva tutta la famiglia. Ricordo l’attesa incantata di quella notte magica, soffusa di luce e di prodigio. Di quei giorni conviviali, vissuti sempre in numerosa compagnia.
Da allora è cresciuta la ricchezza, lo spreco , il dominio, l’aggressività e l’alienazione, e il Natale, da festa sacra della vita, è diventata una festa di scempio della vita. Se si può ancora chiamarla “festa”.
La nostra è una società dissacratoria, che sta devastando terre e mari, sta distruggendo persino l’atmosfera che protegge il nostro pianeta e lo rende vivo. Il Natale è diventato parte di questa frenesia mortale, un rito di distruzione invece che di feconda ricomposizione.
C’è sempre più gente che dice di non sopportare le feste di Natale, e come non capirli? Quello che in realtà non sopportano è la competizione sempre più spinta nell’acquistare, spendere, consumare a più non posso. Ma non sono capaci di uscire da questa spirale dell’orrore, benché non dia loro gioia. Bisogna fare quello che fanno tutti, rispondere ai richiami delle vetrine illuminate, della pubblicità sempre più incalzante.
Bisogna marciare tutti alla stessa musica.
Nella tradizione cristiana il Natale era attesa di un evento prodigioso (esattamente come nelle religioni più antiche), una festa di pace e preghiera, di gioia e convivialità, di riconciliazione.
Cosa è rimasto di sacro nel consumo spropositato di cibi che hanno percorso migliaia, quando non decine di migliaia di chilometri, per arrivare sulle nostre tavole; di pesci in via di estinzione, di maiali torturati, di fegati di oche ingozzate a morte? Cosa c’è di sacro nello spreco di oggetti inutili, nel lusso, nell’affollare ristoranti, nel fare code chilometriche di auto e bus sulle strade che portano ai mercatini di Natale, dove la paccottiglia cinese o del Bangladesh schiavizzato viene venduta come “artigianato”? Cosa c’è di sacro negli spari di migliaia di petardi che ogni anno ammazzano bambini e giovani, terrorizzano piccole creature di ogni specie, inquinano e distruggono la pace e la vita invece di festeggiarla e onorarla.
Il Natale è ormai la festa dei consumi ed eserciti di consumatori si mettono in faticosa marcia verso una meta che non hanno scelto.
Eppure scegliere non è così difficile. Dato che viviamo nell’ultima fase del capitalismo, la globalizzazione consumistica, ci troviamo ad avere nelle nostre mani un’arma potentissima: il non consumo. La sobrietà.
L’albero di Natale può essere la pianta che abbiamo già in casa, addobbata e onorata nel solstizio d’inverno che prelude alla rinascita delle piante. Le luminarie ai balconi e alle finestre possono essere sostituite da candele accese la sera sulla tavola, o intorno alla pianta o al presepe: vere fiamme e minori consumi. Invece di miriadi di regali superflui per grandi e piccini, il dono del nostro tempo alle persone care, di oggetti fatti per loro, di giochi insegnati, di regali “etici” e semplici, pervasi dell’incanto di un tempo sacro. Come è sacra la vita, da non sperperare per inseguire l’avida falsità di feste deformate.
Il solstizio d’inverno è un tempo denso e lento, come la linfa nelle piante addormentate. Il Natale era raccoglimento: degli affetti, dello spirito, dei sentimenti. Così come questo tempo è raccoglimento per la natura che germoglia nell’oscurità immobile.
Facciamo germogliare un tempo nuovo nell’anno che finisce e che rinasce, un tempo di coscienza, responsabilità e collaborazione.